Franz Kafka, mio fratello

La Metamorfosi di Frank Kafka inizia con un travolgente “Quando G. si svegliò da un sogno inquieto si vide trasformato in un mostruoso insetto”.

Franz Kafka, mio fratello

La Metamorfosi di Frank Kafka inizia con un travolgente “Quando G. si svegliò da un sogno inquieto si vide trasformato in un mostruoso insetto”.

Non siamo abituati a qualcuno che ci parli così direttamente; che metta in primo piano la nostra animalità, ma non quella con cui siamo stati creati, ma quella accumulata negli anni e, in questo terribile risveglio, diventata visibile come una fatalità irrimediabile.

Ci si potrebbe chiedere come un ragazzo normale, un commesso viaggiatore di stoffe, le cui aspirazioni erano quelle dell’uomo comune, sia arrivato a questo punto. La letteratura del XX secolo ha abbandonato quasi completamente – ad eccezione della meravigliosa Saga di Tolkien – gli eroi, i cavalieri, i conti e i marchesi, per concentrarsi sull’uomo comune. Non sorprende nel secolo della democrazia: un uomo, un voto; poi, una donna, un voto. L’eroe cammina per strade e piazze, pilota aeroplani o barche di legno, ma il suo cuore è ordinario, limitato, soggetto alle contingenze della vita. La sua nostalgia per le stelle prende la forma di un viaggio nello spazio a bordo di un’astronave piena di pulsanti.

Gregor lavora perché deve pagare un debito familiare, un po’ di karma appiccicato alla sua pelle che lo costringe a sottomettersi in modo disumano a una compagnia che lo minaccia di punizione per non essersi presentato al lavoro un giorno alle cinque del mattino, la prima volta in cinque anni.

Gregor non può perché ha preso la forma di un gigantesco scarafaggio, e un insetto di tali dimensioni riesce a malapena ad alzarsi dal letto e ad aprire la porta della sua stanza con la mascella. Mentre tutto questo avviene, l’intera famiglia: padre, madre, sorella e il responsabile dell’azienda possono vedere direttamente il mostro, la mostruosità in cui si è trasformato questo ragazzo timido. Nella sua stanza, appesa al muro, c’è solo la foto di una donna attraente ritagliata da una rivista. Tutti, senza rendersene conto, l’hanno guardata e percepito il subconscio incarnato, il golem che noi stessi abbiamo creato. E questo li inorridisce perché non lo capiscono. I due livelli di realtà sono incompatibili.

Il manager dell’azienda si precipita al piano di sotto come se la sua vita dipendesse da questo. Il vaso di Pandora, il subconscio, è stato aperto e lui corre per mettersi in salvo, mentre la famiglia si prepara ad accettare un tale destino.

Inutile dire che il lettore è spinto a vivere questa incredibile deriva in cui la storia lo immerge, fin dall’inizio.

Nel profondo del suo cuore, Gregor pensa che la prospettiva di perdere il lavoro non è poi così male e fa del suo meglio per gestire la sua trasformazione in insetto. Ogni tanto si concede persino una risata di fronte alla nuova situazione. Tuttavia, si sente in colpa perché la sua famiglia, che finora dipendeva dal suo stipendio, dovrà da quel momento in poi farcela da sola. Ha ereditato un debito e ora si sente in colpa per esserne sfuggito inconsciamente.

La sua trasformazione in insetto ci rammenta la caduta primordiale, la caduta nel corpo della nostra esistenza materiale. Il suo Karma, il debito della famiglia, è lì per ricordargli la sua schiavitù e, d’altra parte, il senso di colpa per entrare nel Labirinto, non come Minotauro, ma come Scarabeo.

A differenza degli eroi più fortunati, Gregor non ha alcun potere soprannaturale; ha solo una acuta consapevolezza della sua trasformazione, che vive con un certo distacco da una famiglia che lo sfrutta da anni, e dalla vita in generale.

A poco a poco dice addio al mondo, ogni giorno più animale e meno uomo.

Muore e viene gettato nella spazzatura, proprio come un rifiuto, mentre la sua famiglia, dopo il trauma, inizia una nuova vita.

“Quello non era più Gregor, dice la sorella, dovevamo sbarazzarci di lui”.

Il profondo simbolismo di quest’opera, narrata in meno di cento pagine, non è facile da cogliere. In ogni sua opera, Kafka ci presenta la realtà non come la percepiamo noi, ma nella sua nuda verità, lo scheletro della verità.

Questo è il destino che attende l’uomo alienato del XX secolo e oltre: il pestaggio e la colpa. La ribellione potrebbe salvarlo, il desiderio di libertà, ma la ragnatela è così fitta che si lascia morire come un eroe sconfitto.

Ma quella sconfitta – l’accettazione di diventare un essere inconsistente nel frastuono causato da un’umanità avida di denaro – è una vittoria spirituale, di un’umiltà traboccante, senza limiti, e contiene una verità implicita.

Gregor ha vissuto con dignità, ma un bel giorno, incapace di nascondere la sua verità più profonda, mostra il suo lato oscuro e si trasforma in un mostro che l’umanità rifiuta e ignora.

Kafka ha compreso tutti gli stati umani: la caduta, l’orrore di questa esistenza alienata, l’ignoranza degli esseri umani e, di conseguenza, l’assoluta mancanza di amore.

Ha anche rinunciato a una vita coniugale, incompatibile con il suo lavoro di scrittore che richiede tutta la sua energia e una solitudine purificatrice dove forgiare la sua visione dell’esistenza: costruire modelli e mostrarceli per deridere la nostra crudeltà e indifferenza.

Non visse a lungo, a 34 anni morì di tubercolosi. In ogni caso non sarebbe sopravvissuto a lungo in quegli anni terribili come ebreo a Praga. Le sue sorelle sono finite in un campo di sterminio nazista.

La radiografia del totalitarismo – l’Io nella sua espressione più estrema e il suo conseguente desiderio di distruzione – era stata da lui già esposta in dettaglio. Poco tempo dopo morì, libero, senza clamore, come gli uccelli muoiono per un colpo di calore.

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Informazioni sull'articolo

Data: Luglio 12, 2022
Autore / Autrice : Pedro Villalba (Spain)
Photo: Sandro Gonzalez on Unsplash CCO

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