Che tipo di immagini ci vengono in mente quando sentiamo il termine “connessione”? Che cosa intendiamo, come dovremmo definirla e, soprattutto, quale impatto ha sulla nostra vita? C’è naturalmente l’attrazione ovvia, i legami invisibili, le forti connessioni con la famiglia, gli amici e le persone care. Ci sono anche i legami con la nostra cultura, la nostra nazione, la nostra razza, persino con l’intera umanità, che sentiamo altrettanto irresistibili.
Poi ci sono i legami che coltiviamo e sosteniamo dal punto di vista personale: i nostri interessi, le nostre antipatie, le nostre alleanze e quei desideri di cui non possiamo negare la realizzazione. Tutte queste cose le comprendiamo nella loro miriade di espressioni e conosciamo bene come ci fanno sentire, come possono trascinarci in certi pensieri, sentimenti e persino azioni. Sì, anche le nostre antipatie, le nostre avversioni, creano le stesse connessioni interiori che ci spingono in determinate direzioni.
Naturalmente, ci sono anche altre “connessioni” che sperimentiamo e che sono principalmente esterne a noi; connessioni così intrinseche alla nostra vita che siamo a malapena consapevoli della loro presenza o attività. Pensiamo ad esempio alla gravità, al tempo, allo spazio, al movimento, al cambiamento, ecc. Queste manifestazioni non solo formano la natura e la firma fondamentale della “vita” come la intendiamo noi, ma sono anche connessioni profonde e interiori che siamo costretti a seguire e che non possiamo ignorare.
Per avvicinarci alla comprensione di cosa si intende per “connessione”, iniziamo quindi con l’esaminare i due tipi fondamentalmente diversi di connessioni che sperimentiamo: quella esterna e quella interna, anche se spesso queste connessioni sono percepite come intimamente interne, oltre che provenienti dall’esterno. Naturalmente, dobbiamo anche tenere a mente le diverse intensità e i diversi livelli di espressione che ciascuna “connessione” può e vuole manifestare. Possiamo facilmente riconoscere le “connessioni” che sperimentiamo e che hanno un impatto forte e diretto, ma che dire di quelle più tenui, più nascoste, più ambigue. Il senso di colpa è collegato all’espiazione; una bugia è collegata a una verità; il potere è collegato alla realizzazione; un sorriso è collegato a una lacrima?
Da un punto di vista esterno, sappiamo che ci sono principi a cui siamo connessi che non si esprimono in modo isolato, ma formano una sinergia, un insieme, e quindi siamo in sostanza “connessi” a una pienezza, a un sistema di vita con uno scopo e un significato. Il cambiamento si muove nel tempo e nello spazio, mentre ogni azione produce una reazione, una nuova espressione del cambiamento. E nel frattempo sperimentiamo questo cambiamento come un movimento tra i poli degli opposti (dualità): il pendolo oscilla tra positivo e negativo, buono e cattivo, avanti e indietro, vita e morte. La gravità poi trattiene questo “tutto” all’interno della sfera vitale della nostra Terra; collega tutte queste attività nel raggio d’azione della sua influenza; ci “collega” riunendo le nostre attività vitali con il nostro pianeta Madre, un sistema vitale “macrocosmico”.
Da una prospettiva interna, possiamo vedere queste stesse “leggi” che ci muovono attivamente nello stesso modo sinergico: so di essere connesso al tempo quando la mia mente muove un pensiero dopo l’altro in una sequenza che mi dà l’impressione del movimento. E questo movimento cambia continuamente. I miei pensieri e sentimenti mi spingono ad azioni che non possono che manifestare una reazione, una nuova espressione di cambiamento. Le mie esperienze di vita sono plasmate dalla dualità dei cambiamenti che mi muovono tra gli opposti, e il mio “io” è la gravità che trattiene queste esperienze all’interno della mia individualità. Le mie connessioni con queste “leggi” sono la mia vita!
Da una prospettiva olistica, è facile comprendere le interrelazioni e l’interconnessione di tutte queste attività, poiché sono tutti aspetti del nostro sistema di vita; aspetti che in sostanza richiedono un’adesione assoluta. Non possiamo staccarci da loro. Sono intrinseche alla nostra vita e costituiscono le “regole”, i principi guida che gestiscono le nostre esperienze di vita.
Ma sono davvero assolute? Formano forse una prigione di “connessione” che non possiamo oltrepassare? Siamo solo pedine all’interno di un ciclo di connessioni da cui non possiamo districarci, da cui non possiamo fuggire?
Affrontiamo questo enigma dal punto di vista della coscienza. La coscienza, dal punto di vista del sistema vitale, ha una duplice attività. In primo luogo è il collegamento, il nesso tra l’esterno e l’interno. Filtra e “sperimenta” ciò che la vita esterna porta in sé; crea consapevolezza e sostanza. In secondo luogo, è lo strumento di espressione dell’interno. La coscienza non solo assorbe e interpreta, ma anche soggettivizza e reagisce. La sua semplice consapevolezza è allo stesso tempo una reazione, una risposta. Sorge quindi la domanda: può esistere una connessione se non è presente la coscienza?
Tutte le nostre esperienze di vita sono solo questo: sono esperienze perché ne siamo consapevoli. Senza consapevolezza non c’è alcun legame, alcuna connessione tra la vita esterna e quella interna. Nessun movimento, nessun cambiamento, nessun tempo, nessuna esistenza! La consapevolezza è l’anello di congiunzione che dà significato all’esperienza (movimento). È quindi il “connettore” primario, non solo il “collegamento”, perché senza coscienza lo scopo diventa privo di significato.
Ora, se torniamo alla connessione che condividiamo con le leggi del cambiamento, della causa e dell’effetto, della dualità ecc. e alla loro “assolutezza”, ci troviamo di fronte al dilemma di ciò che chiamiamo “libero arbitrio”. Sappiamo di avere il libero arbitrio. Lo esercitiamo ogni giorno in innumerevoli situazioni, sia consciamente che inconsciamente. Ma sappiamo anche che il nostro libero arbitrio, la nostra libertà di scelta, ha un impatto limitato. Per esempio, la libertà di scelta può essere esercitata per influenzare e dirigere le nostre azioni, ma non ha alcun impatto sulla determinazione della risposta, del risultato delle nostre azioni. Il nostro libero arbitrio, esercitato sulle nostre azioni, può spingere il pendolo di causa ed effetto in una determinata direzione, ma non può influenzare l’oscillazione di ritorno.
Siamo quindi collegati a risultati che non abbiamo la libertà di influenzare, ma le cui attività si muovono comunque solo all’interno della gamma della dualità: possiamo “volere” compiere una buona azione, ma il risultato può variare tra buono o cattivo. Posso scegliere di negare la legge di gravità, per esempio, e saltare da una scogliera, ma non posso negare il mio legame con quella legge, né posso “volere” un risultato separato da ciò che l’effetto ha determinato. La gravità svolgerà il suo ruolo indipendentemente dalla mia “volontà”. Posso scegliere di credere nel potere della bontà assoluta, ma questo non mi disgiunge dalla legge della dualità, una legge che mi porterà a confrontarmi con il male e con il bene.
Ma… se la dualità è una legge indiscutibile e noi siamo indiscutibilmente connessi ad essa, allora la connessione deve implicare anche la possibilità di disconnessione, perché appaiono come opposti, sono espressioni di vita governate dalla legge delle forze opposte. Se ciò che sale deve scendere; se ciò che nasce deve prima o poi morire; se ciò che è debole sarà sempre sfidato da ciò che è forte, allora ciò che è “connesso” deve contenere anche la possibilità di “disconnessione”. Se vogliamo rimanere coerenti nella nostra comprensione, allora anche la logica deve rimanere coerente e dobbiamo accettare che la connessione e la disconnessione sono archi opposti della stessa oscillazione del pendolo.
Ma in questo caso il pendolo non sembra muoversi. Sembriamo “connessi”, ma la presenza del “libero arbitrio” non introduce la possibilità di disconnessione. La libertà di scelta può modificare il grado di connessione, l’oscillazione dell’arco, ma è impotente nel disconnetterci in senso assoluto.
Quindi, per trovare una “soluzione” alla comprensione di questa relazione, dobbiamo ripiegare sulla “coscienza”. Se accettiamo l’ipotesi che la coscienza sia l’essenza della connessione, allora dobbiamo anche accettare che la qualità, la firma vibrazionale della coscienza determini la qualità, la firma e la forza della connessione. In altre parole, la coscienza può, se focalizzata correttamente, spostare il sistema vitale dalla connessione alla disconnessione, ma non all’interno della legge della dualità. Spieghiamo.
Riconosciamo che esistono “opposti” che non sono “connessi” da un arco lineare di movimento tra forte e debole, coalescenza e dispersione, intensità e vaghezza, ma sono manifestazioni che riempiono gli spazi di “assenza”. Pensate alla luce e al buio!
La luce è l’opposto dell’oscurità, o è l’oscurità ciò che riempie lo spazio lasciato dall’assenza di luce? Sappiamo che il buio non può esistere in presenza della luce, quindi da questo possiamo dire che la legge della dualità, in questo esempio, funzionerebbe solo come segue: Quando la luce è presente (la causa), allora l’oscurità è assente (l’effetto), ma quando la luce è assente (di nuovo, la causa), allora l’oscurità è presente (l’effetto).
Quindi la “disconnessione” si manifesta solo quando la causa è assente. In altre parole, la legge della dualità non si applica senza contesto. La luce non è l’opposto del buio, ma l’assenza di luce è sempre sostituita dall’oscurità. L’assenza di conoscenza è colmata dall’ignoranza; l’assenza di verità dalla falsità; l’assenza di pace dalla disarmonia! Vediamo quindi che c’è anche una “legge” a cui siamo collegati che si basa sulla premessa che non esiste il vuoto, non esiste lo spazio vuoto. Qui risiede una profonda verità spirituale per la quale la coscienza, la consapevolezza e l’intuizione giocano un ruolo significativo.
Se ora cerchiamo di comprendere questo nel contesto di un linguaggio spirituale: passare dal mortale all’immortale, dalla transitorietà all’eterno, dall’assenza alla pienezza, allora sappiamo che questo non può essere fatto all’interno della nostra connessione con la legge della dualità, ma solo in assenza di una connessione possiamo creare una vera disconnessione, quindi sostituire ciò che è con ciò che non è. Per questo motivo, le chiavi di lettura ci vengono fornite dai Maestri spirituali di ogni epoca, quando parlano di: “non essere”, “vuoto” e termini come “colui che perde la sua vita”.
Quando si parla di un percorso spirituale, spesso si sentono parole e frasi come: purificazione, innalzamento della vibrazione, coscienza superiore ecc., ma sono tutti movimenti all’interno della legge della dualità, e quindi del cambiamento, della causa e dell’effetto, del tempo ecc. Passare dall’impuro al puro, dal basso all’alto, dall’inconscio alla coscienza, sono tutti movimenti all’interno dei costrutti della dualità e, in quanto tali, la nostra “libertà di volontà” non può controllare le conseguenze di qualsiasi azione in questo senso. Tutti i nostri sforzi non faranno altro che spostare il pendolo da positivo a negativo e poi di nuovo indietro.