Si siedono davanti al loro strumento.
Per un istante sono separati.
C’è delicatezza, sensibilità in loro, qualcosa che può essere sentito, osservato ma non descritto.
All’improvviso inizia lo spettacolo, un’esperienza.
Come se fosse tessuto un filo magico invisibile.
Ogni separazione scompare.
I due diventano uno: musicista e strumento, strumento e musicista.
Nessuno spartito, solo un sapere, una connessione.
Nient’altro è necessario.
Messaggi invisibili fluiscono tra di loro, si inseguono, fluiscono insieme.
A volte una risposta dolce e gentile, a volte uno sfogo drammatico.
Ma sempre perfetto, come il momento invisibile richiede.
Il musicista non suona più lo strumento, sembra piuttosto che lo strumento suoni allo stesso modo il musicista.
Connessione totale, un’unità palpabile tra di loro.
Una dolce armonia, una unità.
La performance finisce ma l’impressione rimane.
Ha toccato il pubblico, il direttore d’orchestra, l’orchestra.
Sono incantati, sbalorditi.
Anche noi stiamo cercando quella unità, quel senso di unità.
Quel tocco che ci lascia incantati, trasformati.
Che può essere condiviso, comunicato gli uni agli altri.
Non a parole, ma nella conoscenza interiore.
Se si ha la fortuna di sperimentarlo, non si dimentica mai.