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Il nucleo della critica di Kant alla cognizione è il seguente: la cognizione umana coglie solo se stessa in ogni oggetto e non l’essenza delle cose, che le rimane inafferrabile.
Il punto di vista di Kant significa che non si arriva mai all’oggetto
Goethe ha riconosciuto questo problema della cognizione umana e afferma:
Sono grato alla filosofia critica per aver attirato la mia attenzione su di me, è un enorme vantaggio…
Apprezza molto i risultati di Kant per aver superato il realismo ingenuo. Ma poi obietta:
non raggiunge mai l’oggetto…
Goethe ha cercato una via d’uscita da questa autolimitazione della cognizione. Su questo problema si è trovato d’accordo soprattutto con Schiller. All’inizio del sodalizio della loro amicizia, durata oltre dieci anni, Schiller fu profondamente colpito dalla filosofia kantiana. A questo proposito Goethe scrive retrospettivamente:
“La filosofia kantiana, che eleva il soggetto così in alto che sembra rimpicciolirlo, egli (Schiller) l’aveva accolta in sé con gioia; essa sviluppava lo straordinario che la natura aveva posto nel suo essere, ed egli, pieno di un forte senso di libertà e di autodeterminazione, era ingrato nei confronti della Grande Madre Natura, che non lo trattava certo da matrigna”.
Secondo Goethe, all’interno della filosofia kantiana il soggetto è molto elevato perché è l’unico parametro di riferimento per la conoscenza del mondo. Questo conduce a un senso di libertà e autodeterminazione. Allo stesso tempo, però, significa anche una costrizione. Perché il soggetto non può andare oltre le sue condizioni. Mantiene la sua attenzione su se stesso. Goethe definisce tale atteggiamento ingrato nei confronti della creazione.
Alla ricerca di un nuovo modo di percepire
Goethe era convinto che la cognizione umana non si limiti a rappresentare gli oggetti del mondo in modo ingenuamente realistico. Concorda con la filosofia critica di Kant che la formazione dell’immaginazione si limita a fornire un’immagine del mondo che corrisponde alle condizioni soggettive. Allo stesso tempo, però, era convinto che la cognizione umana sia in grado di svilupparsi, che possa raggiungere l’essere interiore del mondo e che non abbia bisogno di essere intrappolata all’interno dei limiti soggettivi.
Goethe è fiducioso che, considerando una Natura sempre creativa, diventiamo degni di partecipare spiritualmente al processo della Natura.
La questione che si pone è come sia possibile che la cognizione si sviluppi in modo tale da raggiungere la suddetta partecipazione spirituale al processo della natura. Goethe credeva che questo potesse essere raggiunto attraverso la visualizzazione diretta dell’esperienza. Un aneddoto può chiarire l’intensità con cui Goethe si avvicinava al mondo dell’esperienza: quando era funzionario a Weimar, Goethe era responsabile dell’industria mineraria di Ilmenau. Questo compito lo portava spesso nella foresta di Turingia. Nelle sue passeggiate, che erano sempre esplorazioni geologiche, era accompagnato da un minatore. Un giorno arrivarono a un’imponente parete rocciosa dove erano visibili vari strati di roccia, tra cui il granito. Goethe sentì l’impulso di scalare la parete rocciosa. Il minatore racconta l’evento:
“Se tu ti mettessi in piedi con fermezza”, mi disse Goethe, “io mi aggrapperei alla radice dell’arbusto che è cresciuta nella roccia, mi solleverei e salirei sulle tue spalle, e così riuscirei almeno a raggiungere la roccia con le mani”. Così è stato, e abbiamo avuto il raro piacere di vedere, anzi di afferrare con le mani, la strana sezione di roccia primordiale radicata qui, granito rosso e roccia argillosa nero-blu che si erge sulla sommità”.
Questo racconto mostra quanto Goethe si sia radicalmente rivolto alla natura, allontanandosi dalla mera immaginazione. Dice:
Al di là della natura, la ragione costruisce solo nel vuoto.
Con questo atteggiamento, Goethe si pone in decisa opposizione alla filosofia kantiana. In questo modo attirò le critiche dei suoi contemporanei, tra cui Schiller. Quest’ultimo scrisse in una lettera, prima che si conoscessero:
“La mente di Goethe ha influenzato chiunque appartenga alla sua cerchia. Lui e la sua setta possono essere caratterizzati da un fiero disprezzo filosofico per tutte le speculazioni… e da una rassegnazione che limita l’umano ai suoi cinque sensi, o in breve, da una semplicità infantile riguardo alla ragione. Preferiscono cercare erbe o dedicarsi alla mineralogia piuttosto che lasciarsi coinvolgere in vuote dimostrazioni.”
E in un’altra lettera:
Non mi piace la sua filosofia, perché attinge troppo dal mondo dei sensi, mentre io attingo dalla mia anima. In generale, per me la sua immaginazione è troppo concentrata sui sensi. Deve toccare tutto!
Non c’è completezza nelle esperienze
Per il pensatore speculativo Schiller, Goethe è troppo orientato sui sensi. Questa critica alla pura conoscenza sensoriale è del tutto giustificata se vista dalla prospettiva di Schiller. Anche Goethe conosceva l’unilateralità e i limiti di un mero empirismo. Parlava dell’idra dell’empirismo. Le esperienze si verificano sempre in modo isolato e scollegato e non mostrano alcun legame con altre esperienze. Quando si è padroneggiata e classificata mentalmente la singola esperienza, se ne presentano subito di nuove, incomprensibili, che non si inseriscono nel contesto appena creato. La legge e l’idea degli oggetti non emergono nell’esperienza, per questo Kant dice anche che tutto ciò che è idea e concezione non ha nulla a che fare con l’essenza del mondo dell’esperienza, ma solo con l’essere umano. Anche Goethe parla della disperazione per la completezza. Non si può mai essere sicuri di aver considerato tutte le esperienze appartenenti a un campo di ricerca. Per il ricercatore che cerca la regolarità, il bisogno di coerenza si spezza in ogni singola esperienza. Idea ed esperienza appaiono inizialmente alla coscienza umana come opposti inconciliabili:
“Qui incontriamo ora una difficoltà che non sempre si presenta chiaramente alla coscienza, ovvero che tra l’idea e l’esperienza sembra esserci un certo abisso che tutte le nostre forze si sforzano invano di attraversare”.
Il metodo cognitivo di Goethe
La domanda ora è come avviare il processo di mediazione tra idea ed esperienza. Come deve svilupparsi la cognizione umana per trovare una coerenza ideale all’interno delle esperienze? Questa è la preoccupazione centrale del metodo di ricerca di Goethe, che verrà spiegato più avanti.
Il 24 dicembre 1828 Goethe annotò nel suo diario un paio di note apparentemente banali che descrivevano la seguente osservazione:
Passeggiata serale nel parco di Weimar. Una foglia che cade a volte assomiglia a un uccello.
Perché è stato importante per Goethe annotare questa osservazione? Considerate la situazione. È inverno, la vigilia di Natale. Goethe fa una passeggiata nel parco all’imbrunire. La nebbia sale dal fiume Ilm. Tutto è silenzioso. All’improvviso sente un fruscio e percepisce un movimento. È leggermente spaventato. È un uccello? Oh no, è solo una foglia caduta a terra. In questo modo, il giudizio è stato formulato e il bisogno di conoscenza è stato soddisfatto. Non così per Goethe. Questa esperienza lo rende consapevole di quanto la coscienza della realtà sia mobile e transitoria.
Un nuovo modo di usare i concetti
La coscienza comune ha concetti fissi, che sono validi solo fino a quando non vengono sostituiti da altri. Questi concetti o giudizi sono sufficienti per guidare il nostro comportamento intenzionale. Tuttavia, questi concetti non sono consapevoli della propria origine. La nostra coscienza è costruita su questi giudizi e non comprende il processo del loro sviluppo. Ma è proprio questo processo che interessa a Goethe, su cui vuole attirare la nostra attenzione.
Come mettiamo in relazione termini e concetti (foglia, uccello) con le nostre percezioni? In generale, diamo un nome alle nostre percezioni con determinati termini: Questo è rosso, questo è bello. Questo è un albero e così via. Utilizziamo i concetti (rosso, bello, albero) per qualificare le percezioni. I concetti vengono utilizzati per formulare un giudizio. Ma allo stesso tempo spesso si perde la specificità delle percezioni: questo rosso speciale, questo albero speciale. Il concetto non si collega alla qualità degli oggetti che vediamo, sentiamo o assaggiamo. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo sviluppare un atteggiamento diverso nei confronti dei concetti, piuttosto che il loro semplice utilizzo come giudizi. A proposito di questo diverso atteggiamento, Rudolf Steiner fornisce un esempio nel suo libro Una teoria della conoscenza basata sulla concezione del mondo di Goethe:
Sono due cose diverse quando, da un lato, la persona A dice alla persona B: “Osserva quest’uomo quando è all’interno della sua cerchia familiare e ti farai un’opinione di lui essenzialmente diversa da quella che ti sei fatto nel suo comportamento ufficiale” e, dall’altro, quando dice: “Quest’uomo è un ottimo padre per la sua famiglia”.
Se devo formulare un giudizio: “Il mare è blu”, o se devo dire: “Guarda come cambiano i colori del mare”, sono due cose diverse. Rudolf Steiner aggiunge:
C’è una differenza essenziale tra l’uso di determinate parole allo scopo di attribuire direttamente questa o quella caratteristica a una cosa, da un lato, e, dall’altro, l’uso di queste parole semplicemente per dirigere l’attenzione del lettore o dell’ascoltatore su un oggetto.
(Continua in parte 3)