Percepire o sperimentare, una questione di distanza

Dove mi volgerò per sperimentare ciò che mi chiama?

Percepire o sperimentare, una questione di distanza

Una distanza che non è una distanza

Se non ci fosse spazio, non potremmo né osservare né percepire. La cosa, o l’oggetto, è nella grande maggioranza dei casi situata al di fuori della persona-soggetto. Tuttavia, nel concentrarsi su se stessi o su un Altro-in-sé, con cui si può mantenere una relazione, ciò che si dice “fuori” è, in questo caso particolare, una realtà interiore ben diversa dal poter dire “io” da parte della persona-soggetto. Nel caso dell’Altro-in-sé, la distanza ha un contenuto ancora più difficile da cogliere.

La cosa più sconcertante dell’Altro-in-noi è che la nostra coscienza abituale deve rilassarsi per far diventare più forte il rapporto con questo Altro. E se con Lui si mantiene un rapporto intimo, questo può essere accompagnato da una percezione, ma di un tipo del tutto diverso da quella fisica. Più che di percezione si parlerà dunque di esperienza o di qualcosa di sperimentato, in quanto vissuta.

In fisica, nel mondo materiale dunque, a causa della distanza tra l’osservatore e l’osservato, la coscienza dell’osservatore è obbligata a viaggiare, a muoversi, ad andare avanti e indietro per visitare, sondare, verificare. Non c’è niente di simile con l’Altro-in-noi, che è per natura una presenza fedele in un rapporto di premura e di amore. Questo a condizione che ogni sorta di contingenza non ostacoli il legame che si stabilisce, come le nuvole che lasciano passare poca o nessuna luce solare.

Il terreno dove tutto si gioca

In un mondo in cui divisione, dualità, competizione, ecc. sono onnipresenti, colui che regna è il Diavolo, cioè quello che mantiene lo stato delle cose. E lo fa quasi sempre per distrarci da ciò che è per noi interiore e di un altro ordine. Georges Bernanos lo aveva percepito distintamente: “Non si capisce nulla della civiltà moderna se prima non si ammette che si tratta di una cospirazione universale contro ogni tipo di vita interiore”. Denis de Rougemont approfondisce l’argomento nel suo libro La Part du Diable (La parte del diavolo): “La prova che il Diavolo esiste, agisce e ottiene, è proprio che non crediamo più in lui”. Ma qual è la natura della coscienza in questo caso quando è apparentemente assente?

Inspiriamo ed espiriamo continuamente, dimenticando che esistiamo grazie all’ossigeno; lo facciamo inconsciamente. Così, per molte cose non ci poniamo più domande. Ad esempio, al giorno d’oggi c’è un unico pensiero che afferma che i virus sono ovunque e ci minacciano. Vivere con questa convinzione, che trova terreno fertile nell’ignoranza e nell’indolenza generale, è andare contro il fondamento dell’omeopatia, la quale afferma: “il terreno è tutto”. Per alcuni il pericolo viene sempre dall’esterno e dobbiamo armarci contro di esso; altri credono che se ci prendiamo cura della qualità del nostro terreno, il male non può prosperare. Lo stato di coscienza del primo è passivo, denota una paura e una rassegnazione rispetto a una consapevolezza interiore.

In generale, il terreno collettivo di cui sopra è il mondo, la civiltà. Questo terreno ci aiuta a “sperimentare che siamo eterni”, come dice Spinoza? Niente affatto, e questo spiega perché così pochi aderiscono al pensiero di Spinoza. Che cosa cerca questo piccolo numero? Essere collettivamente esseri eterni e uniti in una relazione di premura e amore piena di sentimento. In questo stato di unità percepita e vissuta interiormente, ciò che viene chiamato coscienza è ancora il mezzo di relazione. Tuttavia, in questo caso, tutti i soggetti hanno lo stesso obiettivo della pura Coscienza: la magnetizzazione eterna di tutte le creature e dell’intera creazione. Parlare di un oggetto per questa ricerca spirituale non è la parola giusta. No, infatti il risveglio comporta vedere che siamo tutti noi a costituire l’oggetto collettivo di un unico Soggetto che è tutto Amore. In questo consiste il compimento dell’intera umanità, in questo stato di unità con l’unico Oggetto che è il Tutto.

Un’illuminazione semiotica

Come spesso si sostiene, è bene meditare, smettere di pensare, essere in uno stato di apertura, osservare un silenzio interiore. Raggiungere questo obiettivo non è facile per nessuno. Per raggiungere questo obiettivo, può aiutarci anche una semiotica non linguistica.

A. J. Greimas (1917-1992), uno dei padri della semiotica, ha cercato di dimostrare che l’esperienza è infinitamente più ampia della percezione. Lo scopo di questo articolo è chiarire questo punto. L’Altro-in-noi non può essere percepito, può solo essere sperimentato. Ciò significa che non c’è distanza, che non c’è senso, nessuna direzione in cui andare. Viaggiare dentro di sé è una nozione che non è appropriata quando si tratta di sperimentare l’Altro. Sperimentare o avere l’esperienza interiore di qualsiasi cosa è già di per sé un’esperienza al limite dell’eterno. Da un punto di vista spaziale, l’esperienza dell’interiorità è come un ponte verso l’ignoto su una distanza immateriale che spesso prende il nome di “senso”.

La ricerca del senso è propria del tipo di relazione di cui gli esseri viventi hanno bisogno per il loro sviluppo ontologico e la loro sicurezza. Fa parte dell’esistenza tanto quanto l’essere affamati, aver bisogno di aria o movimento. Questo Altro-in-noi ci fa sentire che, in relazione a Lui, tutto è diverso. Questa differenza presuppone che abbiamo compreso che l’interiorità è un universo estraneo al modo di funzionamento convenzionale della coscienza. È un fatto universalmente accettato, e dissezionato dalla semiotica, che c’è sempre un terzo elemento in gioco affinché la comunicazione passi, trovi un significato, arrivi da un punto all’altro. L’oggetto della semiotica si può riassumere nella domanda: come nasce il significato? Perché le cose accadano come avviene, nella società come ovunque? Ecco una risposta tipicamente semiotica:

“E se fossero le sostanze a fare le relazioni? L’energia non può essere localizzata in uno o più poli: agisce nell’intervallo tra i poli. Riconoscendo l’essere di questo intervallo e dandogli priorità sui poli, riportiamo la sostanza al suo rango di “accidente”, di luogo di incontro e di interazione di energie diverse. La sostanza è un giunto, una cesura tra passaggi distanziati, un legante e allo stesso tempo un isolante. Così, il mondo, il sé e noi sembriamo perennemente generati da un intervallo infinitamente variabile”.  ❋

Il campo del vuoto.

Oggi si parlerebbe in termini di interfacce, strumenti che consentono la comunicazione, i trasferimenti o la compatibilità tra dispositivi elettronici. Per estensione fittizia, innumerevoli disposizioni materiali e immateriali sono interfacce per informarci, dirigerci, controllarci, ecc. Ad esempio, quando vedo una luce rossa o sento un allarme, essi mi parlano e mi costringono a comportarmi in un certo modo. Se ci imbattiamo in un luogo dove ci sono stand e striscioni, sappiamo che sta succedendo qualcosa di festoso. Quando ascoltiamo una canzone religiosa, ci informa su un contesto, su un contesto di culto o culturale.

In effetti, si può dire che non esiste uno spazio vuoto. La sostanza dello spazio spesso ci sfugge. Il mondo è costruito con le sostanze che la nostra mente spesso genera collettivamente. Nulla esiste al di fuori dei campi, che sono spazi, ma non necessariamente materiali e percepibili.

Vendere la propria anima al diavolo significa permettere a un altro di creare un campo che ci riguarda e a cui darebbe il significato che gli si addice. Niente e nessuno può introdurre in noi tali “sostanze” senza violare una parte del nostro essere. Detto questo, sta a ciascuno scoprire o costruire un ponte tra sé e il mondo per trovare un campo in fiore. D’altra parte, per pochi non c’è niente di meglio da fare in questo mondo che “ex-ist”, uscire dalla dualità di questo campo di scoperta e di esperienza. E questo finché non posso sperimentare la Presenza nel profondo di ciò che in me è silenzio e vuoto. Allora posso vedere il mondo come estraneo, ora che mi rivolgo all’Altro-in-me. L’anima, svuotata di tutte le distrazioni che la separavano dall’eterno Presente, sperimenta l’ineffabile presenza dell’Altro, e il Campo indicibile tutto altro. Di colpo, abbandona tutti i suoi sforzi per arrivare a percepire qualcosa che la supera. Questi diventano superflui perché, tornando in vita, l’anima partecipa al miracolo dell’apparizione del mistero; lo vive come una nuova vita legata alla sorgente eterna.

 

Riferimenti:

❋ Louis Darms, Jean Laloup – Interstances – 1983, Louvain-la-Neuve, Cabay

Condividi questo articolo

Informazioni sull'articolo

Data: Gennaio 19, 2022
Autore / Autrice : Gabriel Tonnerre (Belgium)

Immagine in evidenz: