Il quarto stato. Percezione sensoriale ed esperienza

Le nostre percezioni sensoriali sono alla base delle nostre esperienze nel mondo esterno. Tuttavia, sono solo una “modalità” della coscienza umana. C'è un'altra possibilità per noi: il risveglio nella realtà suprema.

Il quarto stato. Percezione sensoriale ed esperienza

La domanda su come sorgono le percezioni sensoriali e quale ruolo svolgono nella nostra esperienza e sviluppo ha occupato molti. Aristotele, ad esempio, vede la capacità della percezione sensoriale come una distinzione tra animali e piante. Se un animale vuole crescere, vivere e riprodursi, deve essere in grado di trovare la sua strada nel mondo. La capacità di percezione serve a questo scopo. Negli esseri viventi si sviluppano quindi diversi organi sensoriali per poter percepire.

Il filosofo Emanuel Kant enfatizza le percezioni sensoriali nella loro interazione con l’intelletto. In una riflessione “critica”, descrive un approccio su come cogliere le “condizioni di possibilità” dell’esperienza umana. Entrambi gli approcci hanno occupato molti profondi pensatori, dal Medioevo fino ai giorni nostri, con una ricchezza di considerazioni, riflessioni e preziose intuizioni.

Rimane tuttavia una domanda centrale: in che modo le nostre percezioni diventano la base delle nostre esperienze? Anche il fenomeno dell’illusione percettiva e dell’allucinazione sono questioni importanti. Se questi tipi di errore sono possibili, quanto sono affidabili le nostre percezioni dirette del mondo?

Percezione, intelletto e intenzione

Le nostre percezioni si basano inizialmente sull’attività dei nostri organi di senso. Con il loro aiuto prendiamo parte al mondo esterno. Tuttavia, oltre agli organi sensoriali, anche altri fattori svolgono un ruolo importante nell’emergere del contenuto percettivo.

Questo può essere illustrato usando un gioco come esempio. Vari edifici famosi sono mostrati su un proiettore, come la Statua della Libertà o la Torre Eiffel. All’inizio, il proiettore non è a fuoco e si possono vedere solo vaghi colori senza contorni chiari. A poco a poco l’immagine diventa più nitida. Vince chi per primo riconosce l’edificio. Questo esempio mostra come la mente e la memoria combinano le impressioni sensoriali in un tutto. Solo così si crea una connessione tra le impressioni e si riconosce l’edificio. Kant chiama questo processo la “sintesi del molteplice”.

Si può presumere che questo processo avvenga anche negli animali. Anche per loro si tratta di identificare altri oggetti nel loro ambiente. Negli esseri umani il processo è però differenziato in modo più acuto dall’interazione tra pensiero concettuale e linguaggio.

Questo processo svolge anche un ruolo importante nel riconoscimento tecnico delle immagini: i singoli punti di una fotocamera digitale vengono elaborati utilizzando vari approcci tecnici in modo tale che gli oggetti possano essere riconosciuti, ad esempio lettere su una busta o oggetti nel traffico stradale.

Ma non sono solo i contenuti della memoria e della mente che fluiscono nelle nostre percezioni sensoriali e le influenzano. Anche altri contenuti mentali giocano qui un ruolo decisivo. Le percezioni sorgono all’intersezione dei sensi e della coscienza. I nostri desideri o paure hanno un’influenza corrispondente su ciò che vediamo. Nella vita di tutti i giorni talvolta si dice che si vede solo ciò che si vuole vedere, o solo ciò per cui si è sensibili, prima ancora dell’esperienza percettiva.

Le connessioni e le interpretazioni spontanee che avvengono in ogni processo percettivo richiedono una “precomprensione”, cioè un’idea preesistente, un concetto preesistente. I nostri stati emotivi e le nostre intenzioni giocano un ruolo centrale in questo. Ciò è importante in molti contesti per poter reagire rapidamente. La classificazione delle percezioni nel traffico stradale deve essere rapida e il relativo condizionamento ci consente di prendere rapide decisioni.

Ma accanto a questo pensiero veloce c’è anche un pensiero “lento”. Quando si tratta di percepire le cose in modo più profondo e diverso, il condizionamento può ostacolarci. L’imparzialità e l’apertura sono prerequisiti importanti per nuove percezioni e intuizioni. Ecco perché può essere importante aprirsi a provocazioni costruttive, prendere coscienza delle proprie prospettive, metterle in discussione e lasciarle andare.

Il “quarto stato”

Le nostre percezioni sensoriali sono la base per le nostre esperienze nel mondo esterno. Tuttavia, sono solo una “modalità” della coscienza umana. Ad esempio, nella Mandukya Upanishad sono descritti quattro stati:

Brahman è tutto, e il Sé (Atman) è Brahman. Il Sé ha quattro stati di coscienza. Il primo è chiamato Vaishvanara, in cui si vive con tutti i sensi rivolti verso l’esterno, consapevoli solo del mondo esterno. Taijasa è il nome del secondo, lo stato onirico in cui, con i sensi rivolti all’interno, si elaborano le impressioni delle azioni passate e dei desideri presenti.

Il terzo stato è chiamato Prajna, il sonno profondo, in cui non si sogna né si desidera. Non c’è intelletto in Prajna, non c’è separazione; ma il dormiente non ne è cosciente. Lascia che diventi cosciente in Prajna e questo aprirà la porta allo stato di gioia permanente. […]

Il quarto è lo stato supercosciente chiamato Turiya, né interiore né esteriore, al di là dei sensi e dell’intelletto, in cui non c’è altro che il Signore. Egli è l’obiettivo supremo della vita. Egli è pace e amore infiniti. Realizzalo!

Qui si assume una prospettiva diversa. Il punto di partenza è l’affermazione che il Sé e il Brahman sono uno. Come esseri viventi, siamo parte della natura e, come i nostri parenti del regno animale, siamo dotati di organi di senso che si sono sviluppati in lunghi periodi di tempo e che ci permettono di partecipare al mondo esterno.

Ma oltre a questo – secondo il Mandukya – il nostro nucleo è tutt’uno con la realtà suprema. In questa prospettiva è logico che, oltre alle percezioni sensoriali, alla loro strutturazione da parte della mente e della memoria, oltre al plasmare le esperienze attraverso intenzioni e apprensioni, si cerchi uno stato in cui possiamo entrare in contatto con il nucleo più intimo.

Oltre allo stato di veglia, le Upanishad nominano due forme di sonno. La moderna ricerca sul sonno distingue tra le cosiddette fasi REM (Rapid Eye Movement) e le fasi NREM (fasi non REM). Una fase REM è una fase del sonno caratterizzata da rapidi movimenti oculari, aumento della frequenza cardiaca, respiro intenso e sogni vividi. L’attività cerebrale (misurata come EEG) è simile a quella dello stato di veglia.

È naturale mettere in relazione questa fase con lo stato onirico del Mandukya e le fasi NREM del sonno profondo con quello che nelle Upanishad viene chiamato “sonno senza sogni” (anche se ci sono sogni in questa fase, ma sono di natura del tutto diversa da quelle delle fasi REM).

Nella comprensione delle Upanishad, nello stato di sonno profondo sperimentiamo la fine della separazione, ma ciò avviene senza che il dormiente ne sia consapevole. Il “quarto stato” – Turiya – riguarda invece il risveglio in uno stato completamente cosciente. Questo è descritto come l’obiettivo più alto della vita, il raggiungimento della pura coscienza.

Questa pura coscienza non è separata dagli altri stati, nemmeno dalle percezioni sensoriali. Piuttosto, il quarto stato è alla base e permea gli altri tre stati di coscienza. Quanto più si apre la “porta alla gioia duratura”, tanto più gli altri stati ne condivideranno. Coloro che si risvegliano in Turiya, vedono anche le cose esterne con occhi nuovi.

Prospettive

Quanto detto apre una prospettiva molto ampia. Tale prospettiva non è esclusiva della tradizione indiana. Con i Greci si potrebbe parlare, ad esempio, del “viaggio onirico” di Parmenide. Nel misticismo occidentale, pensieri simili possono essere trovati, ad esempio, nell’opera di Meister Eckhart. E ci sono certamente numerosi altri riferimenti in altre culture ed epoche.

Questo è di per sé interessante, ma ancora più immediata è la domanda se e come sperimentiamo qualcosa di tutto ciò. Conosciamo quella quiete, quell’esichia (pace interiore) in cui le nostre percezioni sensoriali riposano, in cui possiamo lasciar andare ricordi, desideri e paure, in cui creiamo uno spazio di silenzio e apertura? In Turiya ci immergiamo in un silenzio che è alla base di ogni vero dinamismo. Da questa profondità, l’Upanishad finalmente pronuncia il triplice “Shanti” (pace) che permea gli altri tre stati.

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Informazioni sull'articolo

Data: Febbraio 8, 2022
Autore / Autrice : Orestis Terzidis (Germany)
Photo: Daniel Reche auf Pixabay CCO

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