È passata la mezzanotte. Sono di nuovo sveglia.
Come spesso accade in queste notti insonni, resto sdraiata scrutando l’oscurità attraverso il lucernario aperto; a volte le stelle si fanno vedere, ma non oggi.
Cerco da sempre qualcosa, voglio immergermi completamente nella notte, donarle totalmente me stessa, spingo il mio sguardo lontano, oltre le stelle. Dove sei? Mi senti, amato?
Ma la risposta non arriva, c’è un solo, silenzioso, nero niente. Mi sento persa nel vuoto, racchiusa nel vuoto. Mi sembra di essere sola lì dentro. Percepisco il mio corpo, ma – penso – deve esserci qualcos’altro oltre a me. Qualche volta so per certo che c’è, a volte ne dubito.
Semplicemente la sicurezza non esiste, da nessuna parte; non c’è proprio niente in questa oscurità, ho unicamente la sensazione di essere lì. Qualche volta, nelle notti insonni come questa, mi prende una paura indefinita, ma non oggi. Sento il mio respiro che scorre lentamente, ritmicamente dentro e fuori di me. In qualche modo mi stupisco di poter respirare in questo vuoto. E ancora, ancora ti cerco, amato. Scruto la notte nera. Dove sei?
Il vuoto si apre. I miei occhi (i miei occhi interiori) riconoscono che l’oscurità del cosmo risplende. È traboccante di energia, come di elettricità infinita. Non solo vedo, ma sento aleggiare attraverso me un delizioso fresco profumo inodore che mi fa pensare all’alba in primavera. È pura energia; è puro amore. Qualcosa che non ha passato vuole nascere. Forse è la fonte della creazione. L’eterno inizio. Un grembo materno. Mi sento immersa in una luce dorata, invisibile, piena d’amore. I miei sensi interiori sembrano aperti e illimitati. “Sento” l’energia. La vedo lampeggiare, scintillare e risplendere ovunque. Come una fresca brezza, l’energia scorre attraverso ogni cosa (mi viene in mente il respiro di Dio). Qualcosa vuole rivelarsi; qualcosa vuole risvegliarsi.
Splendenti argentee scintille di energia saltellano caoticamente nell’oscurità, e nel pensiero affiora la parola “origine”…
LOGON ha trovato il seguente passaggio nel libro
Eben Alexander: La prova del paradiso. Il viaggio di un neurochirurgo nell’aldilà, 2012:
“Continuai ad avanzare e mi ritrovai ad entrare in un vuoto immenso, completamente oscuro, di dimensioni infinite, ma anche infinitamente confortante. Nero come la pece, ma anche pieno di luce: una luce che sembrava provenire da un globo brillante che ora ho sentito vicino a me. […]
La mia situazione era, stranamente, qualcosa di simile a quella di un feto nell’utero.
Il feto fluttua nel grembo materno con il compagno silenzioso della placenta, che lo nutre e media il suo rapporto con la madre ovunque presente e allo stesso tempo invisibile.
Nella mia esperienza, la “madre” era Dio, il Creatore, la Fonte responsabile della creazione dell’universo e di tutto ciò che contiene.
Questo Essere era così vicino che sembrava non esserci alcuna distanza tra Dio e me. Eppure, allo stesso tempo, potevo percepire l’infinita vastità del Creatore, potevo vedere quanto fossi completamente minuscolo al confronto. […]
Era come se fossi nato in un mondo più grande e l’universo stesso fosse come un gigantesco grembo cosmico”.
Eben Alexander cita il poeta inglese Henry Vaughan:
C’è, alcuni dicono, in Dio un’oscurità profonda e abbagliante…