In passato i film erano costituiti da fotogrammi, piccole immagini che scorrevano in cerchio sul proiettore formando immagini in movimento. Per montarli, bastava tagliare le scene indesiderate con un taglierino, o quelle molto desiderate e censurate – come nel Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, con la colonna sonora dell’indimenticabile Ennio Morricone.
Ma come si monta il film dell’Arte della Vita Reale, con la sua alchimia che ci spinge verso la vera conoscenza di sé, verso l’anelito alla liberazione, che fa sì che il nostro io si arrenda al trascendente e a una nuova coscienza che ci porta alla completa perfezione? Il montaggio richiede buon senso. Come si può valutare ogni scena senza guardare l’intero film?
Dobbiamo anche ricordare che c’è il tempo e l’eternità. Il misurabile e l’incommensurabile. In quale momento si incontrano?
Ogni giorno, tutti noi siamo trascinati lungo la linea che abbiamo creato: una linea di non ritorno, finita e mortale. La memoria registra il passato, l’immaginazione si annida nel futuro. E noi stiamo nel mezzo.
Improvvisamente, innaffiando il giardino, uno scintillio d’acqua su un petalo apre un universo. “Farfalle e uccelli prendono il volo: una nuvola di fiori”. Lo scintillio rimane nell’aria per una frazione di secondo. Impossibile da catturare. Il film della vita scorre sul proiettore del tempo. Vorremmo fermare il movimento, vivere per sempre in quel fotogramma. Impossibile.
Stanco, torno alla mia vita di sempre. Il giardino è ancora lì, la goccia d’acqua è scesa, il petalo si è piegato ed è caduto sulla panchina al sole e i miei pensieri vagano tra ricordi e progetti. Sento il sole sulla pelle.
Quel momento è passato così in fretta che, distratto, l’ho dimenticato.
Libero dalla memoria e troppo stanco per fare progetti concreti, mi svuoto. Un animale al sole.
L’impensabile mi raggiunge di nuovo. Arriva solo quando, distratto, me ne dimentico. Non c’è pensiero, non c’è sentimento, non c’è reazione. In quell’istante dimentico me stesso e sono distratto dal mondo, non sono. “Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo”, dice Álvaro de Campos-Pessoa.
Il sacro è segreto. È riservato e segreto. È un mistero interiore, un sigillo. È ciò che separa il mondo divino da quello umano. Ma è anche ciò che li unisce. Quell’istante indicibile, ineffabile, apre un varco quasi impercettibile. Ma non c’è idea, né immagine, né suono. Solo l’energia di un’altra natura, di un altro tempo senza tempo, di un luogo senza luogo, di un’altra luce.
Nel silenzio templare dei miei occhi chiusi, rivolti verso l’interno, fluttuano leggeri pensieri e sensazioni informi. Non c’è nulla e c’è tutto.
Quando torno al qui-e-ora del giardino, i ricordi ritornano. Risuona la voce di Álvaro de Campos, che esige da lui, metafisico, la realtà pratica: “Sfrutta il tempo! Ma cos’è il tempo, perché io lo sfrutti al massimo?”
Lo shock pragmatico cade come piombo sull’oro del sacro. Mi chiedo: cos’è il risveglio?
Ancora una volta mi risveglio nel passato. Una poesia che ho scritto a 18 anni mi mostrava già che, nella “realtà” (dopo tutto, cos’è la realtà?), la vita dura al massimo cinque minuti.
5 MINUTI
Quando la vita si ferma,
quando l’immagine non vola,
quando l’angoscia dello sguardo
e la sicurezza di un sorriso
diventano statici.
Quando l’uccello del fotografo nella piazza
dispiega le ali in un volo placido,
quando il gesto leggero si ferma,
quando la lacrima rimane,
e l’Essere palpita,
il ritratto della Vita è pronto.
La poesia è un po’ malinconica, ma vera. Di certo non ha colto il sacro che era lì, invisibile e silenzioso.
Fernando Pessoa una volta disse: “Sentire è distrarsi”.
L’istante sacro è un punto luminoso tra il flusso del tempo e l’eternamente statico.
Ecco perché Paulo Leminski ha scritto così tanti haikai, è diventato un poeta multimediale e ha detto: “Proprio ieri ho invitato un amico a stare in silenzio con me”.
Sì. Dobbiamo stare in silenzio insieme. Così, forse, tra la routine quotidiana e l’impulso trascendente, “Distratti vinceremo!”, come diceva Leminski nel titolo di uno dei suoi libri.