A differenza delle forme e degli esseri, il Sacro è indefinibile, non può essere definito; i suoi contorni non esistono. Ovviamente non risiede in un luogo o in un essere, ma è il centro, il luogo di tutti i luoghi, l’essere di tutti gli esseri. L’unica via sacra, l’unico luogo sacro, è la scoperta del proprio essere più profondo da parte di se stessi. Il Sacro non si trova sulla superficie delle apparenze.
Di fronte all’angosciante vuoto dell’esistenza (della non esistenza?), di fronte a innumerevoli domande fondamentali che rimangono senza risposta, gli esseri umani hanno decretato e continuano a decretare che certi luoghi (montagne, foreste, alberi, regioni, santuari, rocce, fiumi, valli, ecc.) o certi esseri leggendari o storici (saggi, maghi, fondatori di religioni, animali mitici o reali, piante, ecc.), o addirittura certi libri, sono “sacri”, in altre parole, hanno uno status unico rispetto al resto dell’universo, di cui sono spesso considerati il centro o l’origine. Per rassicurarsi, per cercare di dare un senso all’insondabile mistero della Vita, decorano il loro ambiente o la loro storia con punti di riferimento che gli permettano di collocare se stessi, la loro famiglia, i loro antenati, il loro popolo, la loro razza. La distanza dal punto di riferimento arbitrariamente fissato costituisce allora un’identità, una sorta di autovalutazione.
Ad alcuni oggetti o esseri viene attribuito un valore e un significato superiore. Per questo motivo, questi luoghi o esseri sono oggetto di una devozione, di un’adorazione, di una cura e di un rispetto speciali, fuori dal comune. Simmetricamente, tutti gli altri luoghi, oggetti o esseri non godono dello stesso status; sono automaticamente classificati come inferiori, “profani”. Il loro valore e significato passa inosservato. Per ignoranza, si adottano ciecamente delle credenze, ci si conforma senza criterio all’ambiente sociale. E queste convinzioni infondate creano inevitabilmente divisioni ed esclusioni. Lo spazio originario, infinito e indefinibile, viene così “tagliato a fette” di cui ci si può appropriare, individualmente e collettivamente, perché, inventate dal pensiero, sono immediatamente familiari.
Queste credenze formano confini artificiali immaginari, simili ai confini tra le nazioni sulle carte geografiche. Come queste ultime danno origine a litigi, animosità, intolleranza, talvolta a massacri o a lunghe guerre cruente. Perché il “sacro” di uno, costruito ex novo, spesso si rivela il “profano” di un altro. E il mancato rispetto di questo “sacro” decretato dalla tradizione viene percepito come un attacco irreparabile all’identità stessa dell’individuo e della comunità, che non può essere tollerato perché rimanda all’angoscia esistenziale iniziale (angoscia del non senso, paura del vuoto, ecc.) che la sacralità profanata avrebbe dovuto coprire e nascondere. La sacralizzazione di un’entità e l’identificazione con questa entità costituiscono non solo una rottura dell’unità del vivente, ma anche un fattore di divisione tra gli esseri umani, tra tribù, popoli, etnie, clan, nazioni o religioni. L’attaccamento a un territorio proclamato “sacro”, creato e delineato dal pensiero, è fonte di conflitto e violenza.
L’unico territorio degno di essere sacro è il Tutto indivisibile, il Tutto che contiene tutto, che è tutto, comprese le divisioni illusorie decretate dalle ristrette culture umane. L’apertura a questo Sacro universale richiede la cancellazione di credenze/confini arbitrariamente stabiliti, mantenuti e difesi, quindi un cambiamento radicale di identità, una rottura con la paura ancestrale e viscerale e con gli scudi e i rifugi che ne derivano. Ogni scudo è un punto debole perché rappresenta un bersaglio; ogni rifugio barricato provoca animosità, contestazione, e quindi diventa un luogo pericoloso per i suoi abitanti. Affrontare la paura originaria di tutte queste devianze, annienta all’istante sia quella paura che le devianze in essa radicate. Imparare a vivere senza rifugi concettuali garantisce la massima sicurezza. Lasciare andare le armi, le discussioni, le indignazioni provocate dall’aggrapparsi a un “sacro” frammentario, è l’unica fonte possibile di pace interiore e di connessione con la realtà, con il Sacro universale ed eterno.
La dipendenza da luoghi, oggetti, simboli, figure emblematiche, provoca inevitabilmente sottomissione, conflitto interno, divisione, obbedienza cieca e ansia. La liberazione richiede una scelta, un atto spontaneo e immediato, che nasce da una visione chiara e globale della rete di paure e principi irrazionali in cui noi stessi siamo rimasti invischiati.