Il centro
Ci sono quattro direzioni orizzontali e nella loro congiunzione c’è la quinta: il centro. Evocando immediatamente l’asse verticale, punta al quinto corpo platonico, che rappresenta il paradiso: il dodecaedro e il pentagramma generati dalla sezione aurea. Questo centro non è la miscela oscura e mutevole degli opposti, debole nell’entropia senza fine. Questo centro è la sede reale della forza centrale, da cui gli opposti si sviluppano come ali. Questo centro è dentro. Ma questo “dentro” non è il “dentro” che giace nascosto sotto una superficie e può essere esplorato con microscopi e rivelato con il bisturi.
Questo “dentro” è piuttosto uno spazio vuoto, uno spostamento dimensionale, l’interno di un tempio, il cui scopo più alto è quello di essere il vascello di un livello superiore di realtà. Uno spazio altamente sintonizzato, preparato con l’atmosfera, in cui può arrivare la dimensione emotiva-spirituale; nella quale può calarsi e operare. È una discesa nelle cellule psichiche e fisiche del corpo, con la forza dell’anima e dello spirito, per illuminarle e renderle feconde per la crescita dell’uomo interiore.
L’arte è un laboratorio, una scuola di intuizione che conduce dalla conoscenza alla saggezza, dall’emozione all’amore, e sempre partecipando al tutto. L’arte non si divide in bene e in male. Lavora con tutto come sua sostanza. Forgia il più profondo fuoco del cuore. Si dissolve, si lega e ricostruisce.
L’arte può trasformare il clamore dell’esistenza in sinfonie che si aprono come fiori per ricevere ciò che è al di là dell’essere umano e che è, allo stesso tempo, il suo fondamento più profondo. Questo può accadere solo soggettivamente, e può avere successo solo se l’orientamento è focalizzato sul tutto. Alcuni artisti sono messaggeri del tutto, dell’Anima Unica.
L’arte è creata da un ego, da una persona. Se si tratta di un processo spirituale e non di una rappresentazione dell’ego, allora subirà necessariamente un radicale processo di trasformazione. Per dirlo in poche parole: sebbene io non sia l’obiettivo, non posso raggiungerlo senza me stesso.
Il velo di Iside
Con così tanta intuizione e conoscenza di ciò che sta dietro e sotto l’aspetto della natura, e con tutte le conseguenze che abbiamo evocato come “apprendisti stregoni”, non voglio sollevare ulteriormente il “velo di Iside”. Le scoperte e il dominio della natura sono pericolose e instabili, se l’essere umano non impara a conoscere e controllare anche se stesso. Questa è la direzione in cui dobbiamo muoverci ed è essenziale che impariamo da questo posto di lavoro interiore. I maestri sono numerosi. Uno dei più pazienti è la stessa natura universale manifestata. La natura è l’espressione di un’intelligenza che non è antropocentrica. Appare e può essere interpretata attraverso le sue forme. Le sue dimensioni di interpretazione tendono ad essere infinite.
Nessuna interpretazione può comprendere il tutto, eppure il tutto è anche nel particolare, nel separato, nel frammento. Lì, brilla. Una goccia d’acqua è minuscola, eppure l’oceano sogna in essa. Un filo d’erba, non visto dal tosaerba come una singola forma, è un’incredibile struttura di elasticità e stabilità, e manifesta una sintesi di forza direttiva, delicatezza ed eleganza. La nostra percezione causa interpretazioni e le interpretazioni causano giudizi di valore. E così, in un processo creativo per lo più inconscio, viene generato un flusso costante di visioni del mondo. Questa generazione di immagini riflette la realtà dell’interprete e contemporaneamente la crea.
Dal rumore cosmico della radiazione di fondo subatomica dei quark, le realtà sorgono e si ritirano, volteggiando e danzando in uno spazio inimmaginabilmente vasto e vuoto. Se riesci a comprenderlo, allora puoi chiederti francamente: come mai il sensoriale e il visibile appaiono come una pelle sottile sulla superficie di un “corpo fatto di vuoto”? Secondo i Sufi, le forme del mondo sono il linguaggio degli arcangeli nella loro glorificazione di Dio.
Sullo sfondo di tutte le intuizioni su ciò che sta dietro, la velatura più esterna diventa chiaramente percepibile: è un segreto manifestato; il velo che appartiene ancora alla dea. È tutto ciò che è stato (quid fuit), che è (quid est) e che sarà (quid erit). E il cercatore può certamente scoprire tutto quello che può afferrare nel suo velo più esterno, nella sua copertura più esteriore. Forse questi veli non devono essere sollevati o strappati come maschere che coprono il vero volto, ma diventano trasparenti e svaniscono da soli quando il cercatore cieco acquisisce la vera vista. Forse allora la loro essenza più intima sarà rivelata, e il sorriso beato del cielo risplenderà: un sorriso che illumina tutti i veli dall’interno.
Il poco appariscente
Pertanto, voglio dare un’occhiata più da vicino alle forme poco appariscenti della natura, che sono così abbondanti. Prendo questi oggetti umili del mio laboratorio, li metto sull’altare della consapevolezza e li trasformo in modelli che disegno e dipingo… come se li vedessi per la prima o forse l’ultima volta… Mi sento come se la natura fosse alla ricerca di occhi che possano davvero vederla.
Disegnare
A volte dimentico la vecchia, violenta disputa, l’inimicizia artificiale tra l’immagine e la parola.
Ho dimenticato la discussione sulla mimesi, sul dilemma dell’aspetto e dell’essere che mi ha perseguitato e stimolato allo stesso tempo.
Ho dimenticato che “tutto” è solo illusione e vanità e un inseguire il vento.
Ho dimenticato che “tutto” è solo una coincidenza senza senso, e può essere ridotto a una dozzina di particelle che formavano l’universo con una colla probabilistica; e che “tutto il resto” – Dio e significato – sono semplicemente la nostra interpretazione, perché non tolleriamo di esistere in un mondo arbitrario, senza Dio e senza senso.
Ho dimenticato che per l’Islam ci dovrebbe essere un reparto speciale nell’inferno riservato ai pittori che osano essere creativi. (Gli estensori di tale decreto non potevano immaginare che tale “imitazione” della creazione non era solo arroganza e blasfemia, ma anche apprezzamento e ringraziamento).
Ho dimenticato che l’arte moderna ha superato con successo il naturalismo.
Ho dimenticato che la natura è sempre abusata e consumata, che è manipolata e usata impropriamente per la fame insaziabile dei programmi turbo-energetici.
Ho dimenticato che la natura è stata ridotta a uno scenario davanti al quale un ridicolo, assurdo teatro del mondo rumina sui suoi drammi millenari vecchi e irrisolti, come un’opportunità per conoscere le cause nascoste, senza il divino, solo perché fanatici ciechi hanno fatto di Dio un’arma da usare l’uno contro l’altro… e io dimentico, dimentico, dimentico.
Eccole, sdraiate alla luce del giorno, le cose che ho raccolto. Vedo e dipingo. Un silenzio vigile, nutriente e tranquillo arriva e scende come un respiro da un’altra atmosfera. Come se ci fossero ancora ali di respiro anche nella testa. La mia mano reagisce e celebra una festa. Balla attraverso la tela, la sua pista da ballo su cui inscrive “tutto”. È sorprendente quindi che “tutto” diventi preghiera, lode, gratitudine e gioia? C’è una caduta, un volo – nell’essere più profondo!