L’anima è molto probabilmente ciò che sperimentiamo e affermiamo per sensazione. Ma cos’è l’anima? Non è ciò che è vivo in noi, ciò che orienta la nostra vita? In essa dimora una grandezza incommensurabile, ma è anche costretta e spinta da desideri, attaccamenti e paure. Eppure, nella consapevolezza di sé, si cerca e si chiede: Chi sono io? Sono eterna?
La saggezza ermetica ci dice che l’anima originale è un’emanazione di Dio, come un raggio della luce delle luci; un raggio che è tutt’uno con la sua origine, e allo stesso tempo individuale. E come Dio ha fatto uscire i mondi da Sé, così ha anche donato all’anima originale la capacità di abitare tutti i mondi, dal mondo divino più alto alla materia più densa. Ecco perché, da tempo immemorabile, l’anima originale è stata chiamata microcosmo, un mondo in miniatura. Nella sua Cosmogonia rosacrociana, Max Heindel ha rappresentato i campi della creazione in cui il microcosmo può rivelarsi e, parallelamente, le sue espressioni essenziali di manifestazione, che si animano e si sviluppano nel processo.
Quando Ermete insegna che “l’uomo terreno è un Dio mortale, e il Dio celeste è un uomo immortale”, parla del microcosmo e mostra che l’uomo può essere sia mortale che immortale. Se è mortale e quindi legato alla materia densa, allora il microcosmo si muove all’interno del ciclo di nascita e morte nello strato in cui abitiamo attualmente, quindi nelle due regioni cosmiche più dense. Se è immortale, allora si è liberato da tutti i legami con la materia e può realizzare il suo vero sé spirituale in libertà. Può quindi risvegliarsi in tutti i regni cosmici, abitarli, modellarli, svilupparli e dispiegarli, in unità con tutti gli altri microcosmi immortali. Allora la creazione è un comune riconoscere, amare, divenire.
Sono le anime che realizzano tutto ciò che è potenzialmente possibile in se stesse e nei mondi. Devozione e forza, calma e mobilità, libertà e amore risuonano: situazioni che sperimentiamo come fondamentalmente in opposizione nel nostro stato naturale, si manifestano nell’unità e sono complementari nel nuovo stato dell’anima. Sì, l’anima originale è tutt’uno con la sua origine divina, immortale, onnisciente. Non ha saggezza o amore, ma è saggezza e amore.
Nella vita di tutti i giorni vivo in modi completamente diversi. Ci sono alcuni momenti in cui si accenna alla grandezza dell’anima, o in senso figurato, l’anima originale respira in me. Allo stesso tempo, oltre all’ampiezza che sembra giusta, l’unico respiro pieno di sentimento porta anche domande a cui non riesco a trovare risposte immediate. E ci sono molte situazioni, eventi e persino persone con cui mi connetto, credendo che possano avvicinarmi a una risposta. Perché non dobbiamo rispondere alle grandi domande sul nostro vero essere nella nostra vita quotidiana, per quanto inconsciamente possiamo agire? Dal mio punto di vista questo non è un errore, perché solo un’esperienza completa può condurre alla risposta.
Dentro di me prevalgono ancora gli intrecci e l’incoscienza. Ma sto imparando che anche l’attaccamento non deve essere un ostacolo, ma può diventare un passo sul sentiero. Sono convinta che tutto ciò che incontriamo nella nostra vita ci insegna qualcosa; tutti gli eventi sono collegati a noi in modo profondo. I più importanti accadono non solo perché sono possibili, ma perché sono necessari. Ci vediamo quindi riflessi da questi eventi ed esperienze esterne, perché ci stanno confrontando con quegli aspetti di noi stessi di cui non siamo ancora diventati consapevoli o da cui siamo stati trasformati. Ma questo “specchio” è più di un semplice insegnante. Questa rete intelligente del mondo, in cui ognuno è maestro, correttore e compagno di tutti gli altri, è una vera unità spirituale. Perché viviamo in una grande, essenziale unità, e coscienti o meno, come anime stiamo costantemente imparando gli uni dagli altri, finché rimaniamo aperti a questa unità.
La chiave per diventare veramente consapevoli è l’accettazione. Se accetto ciò che incontro, se lo abbraccio davvero, allora tutto cambia. Accettare ciò che incontriamo, ed essere aperti e quindi connessi, permette di comprendere tutte le cose dall’interno. I confini eretti dall’ego cadono. L’anima si espande, comincia a riconoscere la sua connessione, la sua “identità” in ogni cosa. I conflitti finiscono, perché possono attecchire solo dove c’è separazione, dove c’è estraneità e competizione.
L’anima raggiunge gradualmente la sua vera natura e grandezza, e molte delle paure che una volta trovavano terreno fertile, scompaiono. Una delle più grandi paure, la paura di perdere l’esistenza fisica, può essere eliminata solo quando l’anima rilascia ogni identificazione con il suo passato, con la sua “storia personale” e con il suo corpo, la convinzione che il corpo è ciò che essa è. Può farlo solo se si rivolge completamente allo Spirito, alla sua vocazione divina. Ciò comporta un processo di sacra solitudine e vuoto, ma allo stesso tempo un ingresso consapevole nell’unità primordiale.
Il filosofo rinascimentale Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), che conosceva la saggezza ermetica dell’uomo come microcosmo, riassunse il suo punto di vista nel trattato “Sulla dignità dell’uomo”, in cui racconta un fittizio discorso tra Dio e Adamo:
Non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto tuo proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto appunto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio, ottenga e conservi. La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo, perché di là tu meglio scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine.
In questo modo l’anima – come microcosmo – può decidere se vuole collocarsi nella materia o se vuole tornare alla sua origine. Se costruisce la sua esistenza nella materia e nell’impermanenza, subisce il destino dell’impermanenza nella sua esistenza cosciente. Se si rivolge alla sua fonte, acquisisce la riconnessione cosciente con essa e con il suo vero essere spirituale. Dopo essersi distaccata da tutte le cose concrete, si fonde in uno stato che è tutto in tutti.